Eit ~ Everything Italian

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In Italian.

Because sometimes I feel compelled to revert to my mother tongue.

10 marzo 2019

E’ da poco passato l’8 marzo, la giornata mondiale che ci chiama ad una riflessione attenta sul ruolo delle donne, della loro presenza nel mondo moderno (a volte non troppo dissimile da quello di qualche decennio fa), sull’importanza delle loro conquiste sociali e politiche, delle loro lotte, sconfitte, delle ancora troppo spiccate differenze che subiscono nel confronto con gli uomini in molti campi lavorativi e frangenti socio-culturali. Per riflettere su questa giornata vi proponiamo due ritratti di donne che, senza dubbio e per motivi diversi, hanno segnato il Novecento italiano.

L’ultimo cigno. Marella Agnelli. In Memoriam

A doverla salutare attraverso la lente dell’araldica peninsulare, il suo nome sarebbe risuonato nelle trombe più alte della Fama degli aviti blasoni europei: Duchessa di Melito per nascita, Principessa di Castagneto per sangue e Patrizia Napoletana per diritto paterno. In realtà, per gran parte della sua vita, fu conosciuta come ‘la moglie di’ Giovanni Agnelli, neanche la nomea o la carriera del marito fosse una sua colpa. E neanche fosse possibile ed accettabile definire una donna attraverso le buone (o male) carte del consorte.

Ci ha lasciati il 23 febbraio scorso Marella Agnelli, una donna che ha segnato la seconda metà del Novecento con la sua classe, il suo stile, la sua elegante riservatezza. Le feste avevano presto saturato il suo palato discreto; al jet set internazionale preferiva l’intimità delle case di famiglia e i suoi tanto amati giardini.
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Fiori, siepi, colline e specchi lacustri erano una delle sue nobili passioni, passioni che l’avvicinavano a Voltaire (“Ho imparato a coltivare il mio giardino”, soleva dire, parafrasando ‘Candide’) e che le avevano insegnato, grazie all’amicizia con il paesaggista inglese Russel Page, che “bisogna diventare i servitori di qualcosa di più alto, altrimenti si diventa gli schiavi di qualcosa di più meschino”.

Fu il fotografo americano Richard Avedon a tramutarla nel ’cigno’ (the swan) grazie ad una serie di scatti in cui la giovane donna è ritratta come in un quadro di Modigliani, di tre quarti, con il suo superbo profilo e l’elegante, lungo collo in raffinata evidenza. Era il 1953.
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Di lì a qualche anno, proprio come il candido volatile, si sarebbe presentata al ballo organizzato da Truman Capote a cui solo 500 scelti fortunati furono invitati.
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Una vita agli occhi di molti dorata, in realtà fatta di sofferenze e profondi dolori: a partire dal matrimonio dei suoi genitori, un contratto di comodo per l’una e l’altra parte. Per poi continuare con il suicidio del figlio Edoardo nel 2000 e le numerose marachelle – per usare un eufemismo – dei nipoti Elkann.
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Marella è stata una donna che non ha mai ostentato il suo rango o la sua altolocata provenienza. Che ha vissuto con garbo e discrezione quelle fortune che il destino le aveva posto sulla testa, come una corona, anche se a volte si è rivelata di spine.
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Sono certo che la sua dipartita sia stata l’occasione per ricongiungersi allo stormo di bellissimi cigni di cui faceva parte e che saprà indubbiamente guidare, piumata nocchiera, con il suo inimitabile, raffinato riserbo.

Luisa Casati, la Divina Marchesa

Toronto ha accolto molti anni or sono e ospita ancora oggi il ritratto di una donna dai capelli rosso fuoco che incanta l’osservatore con il suo sguardo penetrante. Il suo nome è e fu quello di Luisa Casati Stampa di Soncino, nata Amman, ben presto conosciuta con l’appellativo di Divina Marchesa, così ribattezzata dal vate Gabriele D’Annunzio.

Si interessò fin da giovane alle vite stravaganti e alle avventure mondane di Ludovico II di Baviera, dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, Cristina Trivulzio Principessa di Belgiojoso e della Contessa di Castiglione. Data la morte prematura dei genitori, Luisa e la sorella maggiore Francesca si ritrovarono ben presto ad essere alcune tra le ereditiere più ricche d’Europa.

Nel 1900 Luisa sposò il marchese Camillo Casati Stampa, divenendone la marchesa consorte.

Il principio guida di Luisa era che la vita dovesse imitare l’arte e l’arte imitare la (sua propria) vita. Venne immortalata, per citarne solo alcuni, da Giovanni Boldini, Augustus John, Kees Van Dongen, Romaine Brooks, Alberto Martini, Giacomo Balla, Man Ray e Cecil Beaton.

Grazie alla fortuna del padre, la Divina Marchesa potè permettersi una vita spensierata e lussuosa, in un pellegrinare dorato per la penisola italiana (Roma, Firenze, Venezia, Capri), dando feste memorabili, arricchendo vieppiù la sua collezione di animali esotici e sperperando fortune per soddisfare ogni suo capriccio.

Nel 1910 acquistò l’allora abbandonato Palazzo Venier dei Leoni a Venezia. Luisa fece di questo palazzo con un grande giardino e una terrazza che dà sul Canal Grande la sua residenza e il palcoscenico delle sue stravaganti feste fino al 1924.

Nel 1930, dopo essersi trasferita nella Ville Lumière, la Marchesa aveva accumulato un debito di 25 milioni di dollari. Incapace di ripagare i suoi creditori, fu costretta a vendere la sua residenza parigina – il Palais du Rêve – e tutti gli arredi furono messi all’asta. Tra gli acquirenti vi era una giovane stilista, Coco Chanel. Da Parigi Luisa dovette poi fuggire a Londra.

Nel 1957 la Divina Marchesa morì letteralmente senza un soldo e fu sepolta nel cimitero di Brompton. Sulla sua lapide, la nipote, Lady Moorea Black, fece incidere questi versi da Shakespeare: “Il tempo non può farla appassire, né l’abitudine rendere insipida la sua varietà infinita”, indubbiamente il miglior modo per commemorare la vita della sua eclettica ed augusta ava.

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